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Si sa, la Mongolia non è rinomata per la sua cucina…se ci si trova ad Ulan Bator, la capitale del Paese, in qualche modo ci si può arrangiare trovando qualche ristorante con delle ottime pietanze, ma la situazione precipita enormemente quando si sceglie di avventurarsi nella steppa e ci si trova a mangiare il cibo dei nomadi mongoli.
Abbiamo avuto l’onore di fare questa esperienza durante la nostra settimana vissuta insieme ad una famiglia nomade, nella steppa mongola.
È stata un’esperienza difficile, sotto ogni punto di vista: come leggerai nelle prossime righe e negli altri articoli sui nomadi mongoli che abbiamo scritto, in quella settimana abbiamo provato e visto cose forti, a cui spesso non eravamo preparati adeguatamente. Il nostro è stato anche un caso estremo, per fortuna o sfortuna ci siamo ritrovati a fare esperienze che la maggior parte degli occidentali che va a fare un work-exchange in Mongolia non immagina nemmeno.
Ma, forse proprio per questo, è stato anche uno dei periodi più intensi, formativi e interessanti di tutti i nostri viaggi.
Premessa su ciò che leggerai in questo articolo
Un’esperienza come questa, un viaggio in Mongolia con i VERI nomadi, non quelli “edulcorati” che lavorano con i turisti abitualmente, va presa con occhi diversi, senza giudicare ma per scoprire e accettare tutte le sfaccettature della vita, anche quelle più lontane da noi.
Il cibo dei nomadi mongoli può sembrarci raccapricciante dalla comodità della nostra stanza in Italia, con la sicurezza di un reddito, un lavoro, una casa fissa…queste persone vivono in delle tende tutto l’anno, che sia + o -40° fuori, non hanno alcun reddito al di fuori di quello che ottengono vendendo il proprio bestiame (vivo o morto), non hanno la possibilità di coltivare verdure perché il terreno né lo stile di vita nomade lo permette, e il supermercato più vicino è a qualcosa come 40km senza strade.
In Mongolia, nella steppa, la vita è ancora una lotta continua con malattie, freddo, siccità, fame. A me personalmente vivere in posti del genere, provare sulla mia pelle una cultura del genere, ha fatto comprendere molto più a fondo le dinamiche della vita e dell’essere umano al di fuori della nostra bolla di benessere…e penso sia importante esserne quantomeno consapevoli.
Per questo abbiamo scritto il seguente articolo, così come gli altri.
Va letto con la giusta dose di ironia e giocosità, come un viaggio in un altro mondo, non solo in un altro Paese…e anche come l’esperienza specifica di due persone, non necessariamente rappresentativa di tutta la popolazione nomade della Mongolia.
Con tutti i pro e i contro di questa vita, e del cibo dei nomadi mongoli, non bisogna dimenticare che sono un popolo molto legato agli animali e ad uno stile di vita naturale: il bestiame pascola libero per tutta la vita e non vengono utilizzati antibiotici o mangimi chimici, e tutto ciò che i nomadi fanno e mangiano è frutto di questo connubio antichissimo.
A noi oggi può sembrare strano, alcune cose folli, ma la verità è che fino a pochi decenni fa nella “civilissima” Europa non eravamo da meno (e alcune pietanze contadine apprezzatissime ancora oggi sono anche peggio!).
Dopo questa doverosa premessa che spero ti faccia vedere nella giusta luce quanto stai per leggere, veniamo a noi…
La cucina nomade: non tanto cosa, ma come…
I nomadi, come ormai hai capito, non hanno a disposizione tutte le materie prime facilmente reperibili in una grande città e quindi si devono arrangiare con quello che si trova. Il negozio dove si va a fare la spesa è la campagna, e qualche tagliola aiuta a rendere la caccia più semplice.
Prima ancora di raccontarti dei piatti mongoli cucinati dai nomadi, vogliamo raccontarti gli utensili che usavano nella famiglia da cui siamo stati: ogni ger (tipica tenda mongola) è fornita di una stufa rigorosamente alimentata a letame secco, non ci sono padelle diverse per ogni pietanza da cucinare, ma si cucina tutto in un’enorme “ciotola” di metallo.
Volendo aprire una parentesi sull’igiene, qui tutto viene lavato a mano e con a mano intendiamo letteralmente con le mani, senza sapone e senza spugna.
L’acqua corrente è un’altra agiatezza per noi fondamentale che in questi contesti invece manca completamente: vicino a dove la famiglia da cui stavamo aveva montato le ger c’era un fiume, ma il suo colore nerastro e l’odore chimico facevano intuire che non era certo un luogo da prendere in considerazione per questioni igieniche.
L’acqua utilizzata per bere, lavare, cucinare viene invece da un pozzo poco distante. Viene raccolta in grossi barili blu e utilizzata per tutte le esigenze quotidiane, per cui conservarla e usarne il meno possibile è fondamentale.
Per lavare i piatti quindi si riempie un secchio e semplicemente li si sciacqua con le mani.
Come puoi immaginarti, alla terza ciotola lavata l’acqua assume già un colore scuro e le seguenti ciotole che verranno risciacquate in quell’acqua, non potranno venire molto pulite, ma per i nomadi questo è lo standard e quindi bisogna adeguarsi.
Inoltre, non esistono frigoriferi nella ger, perché l’elettricità fornita dal piccolo pannello solare non basterebbe, quindi i metodi di conservazione vanno dall’essiccazione alla bollitura…alla semplice preghiera che il cibo non vada a male nel frattempo.
Ma passiamo al soldo, veniamo al cibo dei nomadi mongoli.
Il cibo dei nomadi mongoli: tutto ciò che non vorresti sapere
Iniziamo con una bevanda sempre presente tra i nomadi, il tè. Il tè è stata la prima bevanda che ci è stata servita una volta entrati nella ger, lo abbiamo bevuto carichi di aspettative abituati ai tè occidentali e invece questo era…dannatamente salato.
Dopo qualche giorno che lo bevevamo siamo addirittura arrivati ad associare il sapore del tè con quello delle lacrime, questo giusto per darti un’idea, ma il meglio deve ancora venire…
Il latte: appena munto non sa di latte
Il latte viene direttamente dalla fonte: ogni mattina vengono radunate le mucche con annessi vitellini e, mentre questi bevono il latte dalla madre, vengono momentaneamente allontanati per avere accesso alle mammelle da cui prendere il latte. Quest’ultimo poi verrà usato per preparare un sacco di pietanze e anche mescolato al tè di cui ti abbiamo parlato sopra.
Il problema del latte appena munto, non trattato e senza nessun tipo di additivo, è che ha un sapore incredibilmente forte e noi occidentali non ci siamo assolutamente abituati, infatti dopo un primo assaggio lo abbiamo sempre rifiutato, anche se con scarso successo visto che è usato per cucinare un po’ tutto, come vedrai a breve.
D’altronde, in una settimana con loro, abbiamo mangiato 3 pasti al giorno (più o meno, in realtà la maggior parte del nostro cibo finiva al felicissimo cane ) e gli ingredienti del cibo dei nomadi mongoli erano sempre rigorosamente gli stessi, in diverse combinazioni:
- carne
- acqua
- farina
- riso
- latte
- sale come unica spezia
+ un ingrediente incredibile, che scoprirai a breve!
La carne: non è piacevole quando non cresce sui banconi del supermercato
La cucina nomade e praticamente basata solo sulla carne, così da renderla un incubo per i vegetariani: i piatti più tipici sono composti da manzo o pecora, ma noi abbiamo mangiato moltissimo cavallo.
Infatti il giorno del nostro arrivo hanno abbattuto e macellato ben 8 cavalli – un’esperienza a dir poco sconvolgente che ci siamo trovati nostro malgrado a prendere parte, ma che con il senno di poi ci ha aiutato tantissimo a comprendere gli aspetti più “crudi” di questa cultura (leggi il dietro le quinte del nostro reportage sui nomadi per saperne di più).
Detto questo, per i giorni successivi ci siamo trovati cavallo cotto in tutti i modi, anche bollito insieme a latte e riso. Un piatto tipico infatti è proprio composto da latte, riso e carne di varia natura, cotti tutti insieme. Non usano spezie, se non ogni tanto qualche cipolla da aggiungere alla pietanza principale, e giusto un pizzico di sale, per cui alla fine il sapore principale di ogni pietanza finisce per essere quello del fortissimo latte.
Durante l’abbattimento dei cavalli, Marco ha anche avuto la “fortuna” di assaggiare i testicoli di cavallo appena colti, ancora caldi ed insanguinati. Il sapore era semplicemente orribile ed erano incredibilmente viscidi, ma si è sentito come se fosse al corso di sopravvivenza di Bear Grylls.
Una volta ci siamo trovati ad impastare acqua e farina, tale impasto è stato poi suddiviso e steso fino a formare delle piadine, quest’ultime poi vengono cotte, tagliate a strisce ed in fine cucinate insieme alla carne, creando dei semplicissimi noodles.
Come puoi vedere il cibo dei nomadi mongoli è composto tutto da piatti poveri, dai sapori molto forti e poco vicino alle tradizioni occidentali.
Ma il “meglio” deve ancora venire…
Il piatto delle feste: la marmotta

I nomadi da cui eravamo ospiti erano decisi a farci provare il piatto più tipico di tutti, ovvero la marmotta. Una sera sono quindi andati a piazzare una tagliola nel luogo appropriato, e la mattina dopo li abbiamo visti tornare con la preda, un po’ inorriditi e un po’ sorpresi.
Non avremmo mai pensato fosse cibo, pensavamo ne avrebbero fatto un cappello o qualcosa di simile, per cui ci aspettavamo di assistere allo scuoiamento…ma così non è stato. Immaginati la nostra espressione quando abbiamo assistito al seguente spettacolo.
La preparazione del Boodog mongolo, lo stufato più primitivo del mondo
Il Boodog è un piatto delle feste nella tradizione mongola, considerato una vera e propria prelibatezza: si tratta di carne (solitamente di capra o di marmotta) cotta nel corpo stesso dell’animale, che diventa una sorta di pentola a pressione naturale, inserendovi dentro pietre roventi.
Ecco il procedimento, tanto disgusto quanto in un certo senso “affascinante”.
La marmotta viene privata della testa e con le mani viene rivoltata come un calzino, per togliere tutte le interiora insieme agli organi interni, lasciando intatta la pelle. Le interiora vengono riposte in un’apposita ciotola insieme alle costine e ai pezzi di carne, dopodiché si prende del letame secco e lo si usa come combustibile per arroventate delle pietre, piccole e tonde. Quando le pietre sono belle calde, vengono inserite dentro l’animale, insieme ai pezzi di carne che erano stati lasciati a macerare e qualche pezzo di cipolla.
Immagina il rumore sfrigolante della carne che si cuoce dall’interno e l’odore che ne scaturisce: a questo punto avevamo ormai capito che si trattava della nostra cena, ed eravamo davvero preoccupati.
Sapevamo anche che la marmotta può essere molto pericolosa perché può trasmettere la peste, come tutti i roditori, ma i nostri ospiti scuotevano saldamente la testa davanti ai nostri dubbi e ci ripetevano a gesti quanto fosse buona questa specialità. Insomma, non avevamo scampo!
(Prima di mangiarla ci siamo informati su Google comunque: sebbene il rischio di contrarre la peste consumando carne di marmotta esista, succede quasi unicamente quando la si mangia cruda – altra cosa che i nomadi mongoli fanno ma che non abbiamo avuto la s-fortuna di provare…)
Quando tutte le pietre e tutta la carne sono state inserite, il collo viene chiuso come un sacco con del filo, e la marmotta comincia a comportarsi come una “pentola a pressione”, cuocendo lentamente il cibo al suo interno e creando un sacco di liquidi.
La cosa più inquietante da vedere è come il corpo della povera bestia si gonfi mano a mano che la cottura avanza.
Per cuocere anche all’esterno ed essere privata della pelliccia, la cottura prosegue utilizzando una fiamma ossidrica sull’esterno. A questo punto la marmotta è irriconoscibile, se non fosse per quelle quattro zampetta unghiute che sporgono dal “sacco” rigonfio non sembrerebbe nemmeno un animale.
Una volta cotta, viene aperta facendo attenzione a non disperdere il liquido prodotto dalla cottura (che verrà poi rigorosamente bevuto in seguito), e si estraggono i pezzi di carne da mangiare.
Questo è un piatto da grandi occasioni, un po’ come potrebbe essere da noi il barbecue: amici, parenti e vicini arrivano alla ger per gustarlo tutti insieme, seduti sull’erba, prendendo i pezzi con le mani e rosicchiandoli letteralmente fino all’osso. Una grande festa mongola, e il cibo più tradizionale e particolare che si può trovare in Mongolia.
Ok, lo sappiamo, tu vuoi sapere un’altra cosa in realtà…..di cosa sa questa marmotta?!
Be’, il sapore è molto deciso e forte, aiutato anche dal sale e dalle cipolle. Il risultato è uno stufato dal sapore intenso, che abbiamo assaggiato con parecchia circospezione e…abbiamo trovato molto meno terribile di quanto temevamo!
C’è da dire, però, che dipende molto dal pezzo che si mangia. La pelle, bruciata con la fiamma ossidrica, è un grande strato di grasso che loro sembravano gustare moltissimo ma che noi non siamo riusciti proprio a mangiare!
Una vita difficile
Potrebbe sembrare una vita terribile, spietata, e per certi versi lo è. Ma dall’altra parte abbiamo toccato con mano anche quanto la simbiosi con gli animali con cui i nomadi vivono sia forte, e lo stesso vale per il loro attaccamento alla terra.
È vero che hanno macellato 8 cavalli davanti ai nostri occhi, ma erano necessari per il sostentamento delle famiglie della zona, e abbiamo visto le stesse famiglie prendersi cura di un puledro trovatello rimasto senza la mamma e adottarlo come fosse un cane.
Abbiamo assistito quando i nomadi curavano con pazienza e precisione di animali come cani, capre e cavalli affetti da gravi infezioni: alcuni avevano praticamente buchi di vari centimetri colmi di larve che giorno dopo giorno scavano sempre di più decretando la fine dell’animale, a meno dell’intervento dell’uomo, che con grande pazienza deve rimuovere tutti i vermi ed infine versare della cenere sulla ferita.
Insomma, nonostante ciò che abbiamo visto (e mangiato) siamo ben consapevoli di quanto tutto questo vada interpretato con attenzione per non dare giudizi superficiali.
Conclusione sul cibo dei nomadi mongoli (sì, siamo ancora vivi e lo rifaremmo!)
Ormai lo avrai capito: per noi il cibo dei nomadi mongoli è stato una vera e propria sfida, portare a termine i pasti era un lavoro e non è stato piacevole. Quando siamo tornati a Ulan Bator abbiamo mangiato per giorni e giorni solo in un ristorante vegano in città (sì, lì ci sono e vanno anche bene, sarà perché nemmeno ai mongoli piace la loro cucina?).
Ma la verità è che questa sfida è stata una delle cose più interessanti che abbiamo mai fatto.
Vivere un’esperienza così estrema può fare due cose: distruggerti, o fortificarti.
Nel nostro caso è stata decisamente la seconda. Miracolosamente non siamo mai nemmeno stati male, e sebbene avessimo perso qualche chilo visto che la maggior parte del nostro cibo andava al cane, ci siamo stupiti di quanto fossimo forti e capaci di adattarci.
Sicuramente quei sapori e quelle esperienze ce le porteremo per sempre nella memoria, e ci hanno aiutato tantissimo ad apprezzare il cibo e tutte le comodità in cucina che noi occidentali diamo totalmente per scontate.
Come scritto all’inizio, la vita per i nomadi mongoli è ancora una lotta quotidiana…ma per certe cose sembrano molto più felici di noi. Avremmo tanto da imparare dal loro intrinseco minimalismo, ed è stato illuminante renderci conto di quanto poco basti per vivere.
Non dimenticheremo mai questa esperienza, e la Mongolia anzi ci è rimasta nel cuore come uno dei Paesi più belli, selvaggi e autentici che abbiamo mai visto: certo, non il posto giusto per i vegetariani, ma se cerchi una sfida e la possibilità di scoprire davvero un mondo diverso dal nostro…qui la puoi trovare.
Cosa ne pensi? Tu hai mangiato qualcosa di peggiore, in Mongolia o da altre parti del mondo? Raccontacelo nei commenti, parte la sfida 😉
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Un abbraccio,
Ilaria e Marco
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Last Updated on Maggio 24, 2022 by Ilaria Cazziol
Bellissimo blog e articolo complimenti, considerando che vivo 6 mesi l’anno a Ub, la marmotta mi è piaciuta tantissimo, ma se dovessi dire un cibo peggiore sicuramente la carne di pecora o i brodini con le interiore, quelli proprio non ce la faccio a mangiarli!!
Non so in quale parte del paese eravate finiti, ma vi posso assicurare che non è sempre così. E poi 8 cavalli abbattuti tutti insieme? Lo trovo alquanto inverosimile. Per non parlare della scelta di certe immagini.
In realtà, quella dei nomadi è una dieta relativamente sana se paragonata a quella degli occidentali (o comunque paesi industrializzati e aree urbane). Gli animali pascolano liberamente anzìche rinchiusi in recinti, nutriti di cereali e antibiotici. Abbiamo una delle carni migliori al mondo – talmente saporita che non ha bisogno di spezie varie. I nomadi bevono più latte di capra e pecora (facili da digerire) che di mucca. Quindi la chiave è organico, cibo naturale e non processato.
Ciao, I cavalli non sono stati abbattuti tutti insieme contemporaneamente ma uno dietro l’altro ed è stata una operazione che ha richiesto almeno 6 ore di lavoro.
Per il fatto che gli animali pascolano liberi ti do ragione, peccato che nel nostro caso andavano ad abbeverarsi un un fiume li vicino che risulta essere inquinatissimo, infatti a circa 100 metri dal fiume potevi sentire il forte odore di fogna e di materiali chimici. Questo comporta che la carne e il latte siano altamente tossici alla fine della fiera. Purtroppo i danni dell’uomo arrivano dappertutto.
Nel nostro caso ti assicuro che il latte che bevevamo era quello di mucca perché eravamo noi a radunarle per mungerle ogni mattina.
Lo spregio con cui hai parlato di questa cultura mi da il voltastomaco più delle larve che hai descritto.
Ho letto molti diari sui viaggi in Mongolia e nessuno criticava così aspramente le famiglie di cui era stato ospite; in cambio della loro gentilezza, nell’offrirti ciò che possiedono di più prezioso, tu che hai scritto questo articolo ti sei soltanto lamentato. E il fatto che abbiano tradizioni diverse non autorizza a parlare di loro come se fossero trogloditi. Hai parlato di macellazione di cavalli ma non dello stretto rapporto che i mongoli hanno con i cavalli, tanto che le loro case sono piene di decori con questo animale e c’è persino uno strumento musicale che ritrae la sua testa: non sono soltanto bestie da carne come tu fai pensare.
Inoltre, mangiare anche le interiora degli animali, è qualcosa che facevano gli europei sino a qualche tempo fa… e in tempo di guerra ti ricordo, si mangiavano cani e gatti. Ma senza andare indietro nel tempo…
Le salsicce di cosa sono foderate? Intestino del maiale, o vescica. Mai sentito parlare del sanguinaccio che i contadini di oggi preparano tutt’oggi? E lo sai cosa contengono i wrustel? Occhi e interiora, forse anche i testicoli.
Insomma, per fare un “titolo che attrae visite” hai prodotto un articolo di incredibile spregio culturale. Chissà cosa penserebbe nel leggerlo la famiglia di cui sei stato ospite. Glielo faresti leggere?
Infine rispondo alla tua domanda: cosa possiamo mangiare di peggio noi europei? Beh, sicuramente anacardi e quinoa o soia di importazione per definirci “vegetariani” quando per produrli donne e bambini vengono schiavizzati e sottopagati. E’ questo che mi fa schifo, non chi per sopravvivere deve sfruttare sino in fondo ciò che la natura della sua terra offre.
Ciao Alya, ci dispiace se il nostro articolo, evidentemente ironico fin dalle prime righe in cui paragoniamo il nostro supermercato alla loro modalità di procacciarsi il cibo, ti ha infastidito. Non dico che ciò che mangiamo noi non sia peggio, probabilmente la grande differenza la fa il fatto che i wurstel e le salsiccie noi le compriamo già belle impacchettate al banco e non le prepariamo con le nostre manine. Occhio non vede cuore non duole, è la triste verità!
Scherzi a parte, che non vorrei di nuovo non si capisse l’ironia…non volevamo “insultare” i nomadi, è stata una delle esperienze più forti (anche difficile, ma bellissima) della nostra vita e non facciamo che parlare bene di questo Paese e dei suoi abitanti. Per una visione meno “sarcastica” della nostra esperienza ti invito a leggere l’articolo scritto da me sul nostro periodo lì: https://viaggiosoloandata.it/reportage-tra-i-nomadi-mongoli-della-steppa/
Spero ti piaccia di più e ti faccia capire il nostro amore e rispetto per questa cultura incredibile e per le difficoltà che quotidianamente affrontano.
Leggendo della Mongolia e di questo resistente popolo che abita la steppa, mi stavo così affascinando che già fantasticavo di partire per le terre selvagge, imparare a vivere allo stato brado (io, che se non faccio la doccia ogni giorno e in estate anche due o tre inizio a meditare il suicidio) e prendere in moglie una bella nomade ruspante, che mi assicurerebbe una prole sana e con la forza di Gengis Khan. Poi ho letto il vostro articolo e… mi sa che ci devo pensare meglio. probabilmente non riuscirei a sopravvivere più di tre giorni.
PS: non mi sarei preoccupato della marmotta una volta cotta, perché a quanto ho capito il problema è proprio venire a contatto con i roditori, che trasportano le pulci infette col virus della peste
Ahahaha! 😀 ti dirò, con il senno di poi anche noi ci chiediamo come abbiamo fatto…ma rimane una delle esperienze più belle (anche se toste) della nostra vita! Te la consigliamo assolutamente (sulla moglie nomade però non saprei se ti conviene, visti i manicaretti che ti proporrebbe :P)
Salve,io purtroppo sono assolutamente animalista e antispecista per cui,pur comprendendo certe necessità,trovo comunque abominevole allontanare il vitello alla madre per rubargli il latte,ecc ecc . Soprattutto calcolando che è lo sfruttamento dell uomo sugli animali che gli permette d vivere in zone inadeguate,senza il minimo rispetto verso il loro diritto alla vita.Certo noi con gli allevamenti intensivi nn siamo meglio ma per me, Vegetariana da 35 anni d cui gli ultimi 13 vegana…la Mongolia nn fa per me.
Ciao Silvia, capisco il tuo punto di vista e anche per noi è stato difficile vedere, vivere, e anche partecipare a questa realtà…e confermo la Mongolia non è un Paese facile…però per quanto mi riguarda un viaggio in contesti del genere va preso con occhi diversi, senza giudicare ma per scoprire e accettare tutte le sfaccettature della vita, anche quelle più lontane da noi. Tu puoi essere vegetariana o vegana perché vivi in Italia, hai un reddito, un lavoro, una casa fissa…queste persone vivono in delle tende tutto l’anno, che sia + o -40° fuori, non hanno alcun reddito al di fuori di quello che ottengono vendendo il proprio bestiame (vivo o morto), non hanno la possibilità di coltivare verdure perché il terreno né lo stile di vita nomade lo permette, e il supermercato più vicino è a qualcosa come 40km senza strade.
Insomma…è facile giudicare come “disumano” un modo di vivere dall’alto della nostra cultura occidentale e delle nostre agiatezze, ma bisogna considerare che in Mongolia siamo un po’ più in basso nella scala dei bisogni di Maslow e la vita è ancora una lotta continua con malattie, freddo, siccità, fame. A me personalmente vivere in posti del genere, provare sulla mia pelle una cultura del genere, ha fatto comprendere molto più a fondo le dinamiche della vita e dell’essere umano al di fuori della nostra bolla di benessere…e penso sia importante esserne quantomeno consapevoli 🙂
se vuoi una lettura ancora più cruda ma che forse ti farà capire il punto di vista che intendo comunicare, ti lascio questo mio articolo più recente: https://viaggiosoloandata.it/dietro-le-quinte-vita-e-morte-tra-i-nomadi-mongoli-reportage/
Buoni viaggi! A presto,
Ilaria